Per tre mesi ho girato in lungo e in largo i ristoranti marchigiani con un unico chiodo fisso: andare alla ricerca dei primi piatti, più o meno tipici della nostra regione. Le domande erano tante: nei locali c’è ancora un forte legame con la tradizione o ci siamo spostati verso l’innovazione? Quanti ristoranti propongono ancora la pasta fatta a mano così come una volta? Quali sono i primi che caratterizzano di più la nostra regione? E quali piacciono di più adesso alla gente?
Un po’ per gioco e un po’ per conoscere meglio il nostro territorio, ho iniziato a documentarmi sulle nostre tradizioni e lanciare sul mio blog Fragustoepassione delle “sfide” monotematiche tra alcuni primi piatti tipici marchigiani.
“L’origine di tutto era la pannella (sfoglia) che successivamente arrotolata veniva tagliata a seconda della ricetta del giorno: tajiulì, tagliatelle, quadrucioli, capillini, pappardelle, fregnacce, taccù, gravioli…non c’era giorno in cui non si facesse la pannella”. Cit. La Bellezza del Poco Giuseppina Pieragostini
Le tagliatelle come tradizione comanda
Sebbene le tagliatelle siano un primo famosissimo nel bolognese, con tanto di ricetta ufficiale stabilita dalla Confraternita del Tortellino, anche qui nelle Marche hanno una lunga tradizione. Il segreto sta nel mescolare farina e uova senza l’aggiunta di acqua. Negli anni 50-60 erano il piatto fisso della domenica, ricche di uova e condite con un sugo pieno di “ruscì” ( stomaco del pollame) bello corposo e saporito, regine indiscusse della tavola festiva.
Oggi come allora sono molti i ristoranti che le propongono condite con un ragù tradizionale che sobbolle per ore, con tanto di “zampetti,” maghetti e fegatini, ideali per ritrovare quell’autenticità della tavola della nonna. Ma come ho trovato tanta tradizione e ingredienti locali, ho notato anche nei diversi ristoranti visitati, voglia di sperimentare nuove farine e accostamenti più ricercati con sughi che andavano a ripescare i grandi classici francesi o ad indagare nuovi sapori di mare.
E se il tempo stringe e non si riesce a tirare la sfoglia a mano, c’è sempre una certezza made in Marche: i maccheroncini di Campofilone igp, un’eccellenza marchigiana dalla storia antichissima (era la pasta che solitamente veniva utilizzata dalle famiglie contadine del borgo di Campofilone, quando per conservare grandi quantità di uova prodotte dalle galline allevate in cortile, impastavano la sfoglia e la essiccavano per tutto l’anno). Questi fili lunghi e fini simili a “capelli d’angelo, così sottili da sciogliersi in bocca, sono un vanto per noi Marchigiani.
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Pasta ripiena: ravioli e cappelletti
Al contrario delle tagliatelle, pappardelle, maltagliati e tagliolini che devono avere un impasto sodo per resistere alla cottura, quello della pasta ripiena può rimanere più morbido e umido per essere modellato facilmente quando viene riempito.
La ricetta più antica del nostro territorio per quanto riguarda i ravioli è quella dei cargiò, caciù o calcioni cioè un raviolo ripieno esclusivamente di ricotta di pecora, scorzette di limone e maggiorana che ho ritrovato in molti ristoranti soprattutto nel maceratese. Col tempo la farcia si è andata arricchendo di ingredienti che hanno permesso alla fantasia dei ristoratori di spaziare dalle erbe selvatiche, alla frutta secca (specialmente castagne e noci) o anche a ripieni più corposi sull’onda della cucina del “riciclo” con avanzi di carne bollita e arrosto del giorno prima.
Per quanto riguarda il condimento, essendo anche i ravioli considerati un piatto della domenica, per tradizione andavano necessariamente accompagnati da un sugo in umido bello “festaiolo” con pezzi di carne importante, al contrario di oggi che si tende ad alleggerire per esaltare più la farcia.
E parlando di pasta ripiena non possiamo non annoverare i cappelletti che nella nostra tradizione marchigiana sono piuttosto piccoli e belli farciti. Il ripieno va preparato generalmente con un giorno d’anticipo come il brodo di cappone che una volta pronto, va riposto in frigo e ripulito della parte grassa che affiora.
Al contrario dell’ Emilia, nelle Marche i cappelletti generalmente si fanno e si mangiano in casa o tutt’al più si acquistano da Pastifici storici e di lunga tradizione; nei menu dei ristoranti si trovano più raramente e soprattutto nel periodo natalizio, ma a volte capita anche di assaggiarne una versione che attraversa la tradizione per poi stupire…
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Non c’è giovedì senza gnocchi
Continuando il viaggio nei primi piatti marchigiani non potevo non parlare degli gnocchi. Per gnocchi si fa riferimento a qualsiasi impasto di forma tondeggiante, simile a una piccola “nocca”, ecco spiegata l’origine del nome.
In principio erano a base di pane raffermo, spesso di semolino e di grandi dimensioni, solo dalla fine del‘700 si diffondono gli ormai “gettonatissimi” gnocchi di patate. Si tratta di un primo sostanzioso estremamente versatile, può essere tradizionale e “contadino” quanto diventare estroso e gourmet.
Sulla forma, le dimensioni e il miglior condimento nella nostra regione esistono diverse scuole di pensiero. I sughi più diffusi e classici sono quelli alla papera, che si trovano ancora nelle Trattorie vecchio stampo ma anche giovani chef creativi sono soliti recuperarli dalla tradizione e proporli in versione fantasiose (quello con la patata viola piace molto!).
Un’antica ricetta maceratese prevede una variante di gnocco ripieno con un preparato di carne macinata di manzo e maiale, che ancora ho visto in giro. Con l’impasto degli gnocchi in qualche festa popolare si trovano ancora le frittelle, che si tuffano nell’olio bollente e formano delle goduriose bolle croccanti che fanno impazzire i più piccoli (e non solo!)
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Riso, risotti e polenta risottata
Da sempre considerato un piatto ostico su cui testare le capacità di un buono chef, il risotto non ha una lunga tradizione per noi marchigiani, ma permette una creatività che pochi primi piatti riescono ad eguagliare.
Una volta arrivato in Italia (intorno ai primi dell’800), da piatto di recupero (cotto in brodo con quello che avanzava dalla cucina) il riso si struttura in piatti sempre più apprezzati e ricercati. Sicuramente il più famoso è quello alla Milanese anche se al sud spesso fritto e “dissacrato” nei supplì, arancine e sfiziosità varie è diffusissimo come street food.
Nella nostra tradizione marchigiana il più tipico è il “riso corco” o “frascarelli”, ossia un riso in polenta o una polenta risottata ottenuta da un mix di riso e farina a cui poi si aggiunge un sugo rosso con gambuccio di prosciutto e salsiccia. Nei ristoranti marchigiani il risotto viene spesso proposto con ingredienti e eccellenze della nostra tradizione: dal ciauscolo al pecorino dei sibillini, dalla vernaccia e mela rosa fino al tartufo di Acqualagna.
Ho scoperto addirittura un ristorante che mette in carta oltre venti varianti. E poi non dobbiamo tralasciare tutte le versioni di mare, dove spesso si raggiunge un buon livello di creatività, con piatti tanto belli da guardare quanto interessanti da assaggiare…
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I vincisgrassi della domenica
Ultimi ma non ultimi, i Vincisgrassi sono uno dei piatti che più caratterizza il nostro territorio. Le origini di questa pasta all’uovo sontuosa, disposta a solari, e condita con un sugo ricco quanto godurioso, sono ancora più antiche delle prime versioni dei Princisgras di cui parla il famoso cuoco Maceratese Antonio Nebbia.
Non è una preparazione che nasce dalla tradizione contadina (le prime ricette sono in bianco e annoverano ingredienti pregiati come tartufo e funghi), però la cultura contadina se ne è appropriata relegandoli ai momenti di festa per emulare gli sfarzosi banchetti signorili (e ancora oggi nei ristoranti si trovano spesso solo la domenica).
Tanto tradizionale quanto dibattuta, la “ricetta originale” è ancora un mistero. Sicuramente non si tratta di un piatto da tutti i giorni (anche per le lunghe tempistiche di preparazione) ma al contrario è il simbolo di una tavola vestita a festa. Per i più oltranzisti i Vincisgrassi si definiscono tali solo in totale assenza di besciamella, in altre versioni come quelli “alla Maceratese”, (in attesa di codifica ufficiale da parte dell’Unione Europea), la besciamella anche se in minima parte è presente.
E poi c’è chi ci mette le animelle, chi il cervello, chi i fegatini, chi trita tutto il ragù, chi elimina la carne macinata e vuole i “pezzettoni” solo tagliati al coltello. E anche sul numero degli strati di pasta, se debbano necessariamente essere sette o meno, ci si scontra. Il problema ho capito che sta alla base: ognuno pensa di avere ragione perché esiste una e una sola vera ricetta dei vincisgrassi, ossia quella propria ( quella preparata dalla nonna che profuma di infanzia e sa di casa). E quindi è giusto che tutti restino con le proprie convinzioni e scelgano di ordinare i vincisgrassi nel Ristorante che più si avvicina al loro modo di intenderli. Il segreto è tutto qui.
In quali ristoranti trovare i vincisgrassi della tradizione? >>> Ecco i consigli di Fragustoepassione
E se dopo tutta questa abbuffata di primi (e nonostante i miei numerosi consigli) avete ancora un po’ di appetito, qui trovate una selezione di piatti speciali: cresc tajat , passatelli e gnocchi tricolore, proposti da quelle Osterie e Trattorie tipiche marchigiane dove vanno a mangiare Ristoratori e “addetti ai lavori” >>> Osterie e trattorie tipiche marchigiane consigliate da Fragustoepassione
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Francesca Celi www.fragustoepassione.it
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