Esiste una notte magica nella ruota dell’anno dove tutti gli elementi, Terra, Acqua, Fuoco e Aria si incontrano in armonia con i ritmi della Natura. Cade subito dopo il Solstizio d’Estate tra il 23 e il 24 giugno ed è dedicata a San Giovanni Battista. Mille leggende si legano a un filo a doppia mandata tra il sacro e il profano e mille rituali si perdono nella notte dei tempi, quando i ritmi ancestrali dell’agricoltura scandivano le vite degli uomini.
Una tradizione legata alla terra
Le Marche, unica regione femminile plurale, possiede, come poche altre, un rapporto stretto e viscerale con le sue campagne e le antiche tradizioni.
In questo periodo dell’anno, la terra dà il meglio di sé, le messi aspettano solo di essere raccolte, i frutti pesano sugli alberi e il sole allunga i suoi raggi fino a tarda sera. Fin dall’alba dei tempi l’uomo ha notato che quei profumi intensi di gelsomini, rose, lavanda, iperico, salvia erano al massimo della loro espressione e occorreva trovare il modo di conservarli o di utilizzarli al meglio come fossero simboli essi stessi di abbondanza e prosperità. Nel gioco delle parti tra microcosmo e macrocosmo, la fertilità della terra richiama quella degli esseri umani.
Il 24 giugno è una festa che la religione cattolica dedica al santo che battezzò suo cugino Gesù, ma che naturalmente trae origine nei riti arcaici di passaggio da una stagione all’altra, da un anno all’altro, da un raccolto nuovo che esplode di vita presagio di salute per l’anno a venire. In questo mese la Natura offre in abbondanza e, per lo stesso desiderio di abbondanza, l’uomo cerca di propiziarsi gli dèi, o meglio, le dee, perché la Natura è femminile, forza primordiale creatrice di vita sia essa riferita a una pianta, a un animale o a una creatura umana.
Si accendono fuochi nelle campagne per bruciare tutte le erbe vecchie e che non servono più in attesa di raccoglierne di nuove e far sì che la nuova linfa apporti più beneficio alle nostre richieste. Il potere purificatore passa anche attraverso le fiamme che illuminano quella che è astrologicamente la notte più corta dell’anno. Balli e canti intorno ai falò propiziatori di incontri amorosi e di vite che si uniscono per celebrare l’amore e l’eterna rinascita.
L’uomo da sempre guarda le erbe con un misto di timore e speranza, ammirato dalla loro straordinaria forza e bellezza e incuriosito dalle potenzialità curative nascoste tra i petali, le foglie o le radici. In questa notte di mezza estate pare che tutte le forze primordiali si siano date appuntamento per avvicinarsi ai sacri misteri: ci sono erbe più magiche di altre? La tradizione agricola marchigiana incorona l’iperico come immancabile nel mazzo di erbe benefiche; con i suoi fiori colore del Sole, scaccia il malocchio, cura le ferite, calma i nervi e porta sogni premonitori se messo sotto il cuscino durante la notte. L’olio che si ottiene dalla macerazione dei suoi fiori tenuti per un intero ciclo lunare è cicatrizzante, emolliente, purificante e antisettico.
Come si prepara l’Acqua di San Giovanni?
Abbiamo parlato di Terra e di Fuoco, ma ora spetta all’Acqua. Forse la tradizione che ancora vive in tutta la regione è quella di preparare “l’acqua di San Giovanni”; è notizia che, complici i moderni social network, si sparge la voce di incontri organizzati tra amiche per tramandarne la conoscenza e perpetuarne il rito. Che è perfetto nella sua semplicità.
Si inizia prendendo una bacinella, meglio se di vetro trasparente e riempiamola di acqua fresca in cui immergere le erbe e i fiori. Tutti quelli che riusciamo a raccogliere: naturalmente petali di rose, lavanda, papaveri, fiordalisi, ginestre, sambuco, camomilla, timo, margherite, salvia, mentuccia e tutti quelli che possiamo trovare pur non riconoscendone più il nome. Lasciamo la bacinella all’esterno, per tutta la notte affinché accolgano le energie della Luna (potevamo dimenticarci di lei?) e i fiori rilascino le loro benevole e profumate sostanze; al mattino ci si laverà il viso, il corpo o i capelli con questa prodigiosa acqua (guazza) di bellezza. Purificatrice, rigenerante e salvifica. Se ne hanno notizie in quel di Cingoli, uno dei borghi più belli d’Italia adagiato su un monte chiamato Circe (a proposito di magie!) in provincia di Macerata, dove un agriturismo si rinnova ogni anno questo rituale.
Sulla costa pesarese all’alba del 24 giugno centinaia di persone si ritrovano in riva al mare per aspettare il sorgere del sole. L’acqua che lambisce i piedi assicurerà forza e buona salute. Nelle campagne di Jesi sono molti gli anziani che ricordano i riti della notte magica, anche se poche sono le famiglie che li praticano ancora. A Fabriano nelle case tuttora si raccolgono fiori e foglie, convinti che “la guazza di Santo Gioanno fa guarì da ogni malanno” e la Cartiera da qualche anno realizza La Carta Di San Giovanni, impastata mescolando fiori e foglie insieme alla cellulosa. A Macerata i fiorai vendono mazzetti di erbe atti a fare una buona acqua. Nel Piceno, dove suona lo stesso detto di Fabriano, in tante famiglie si perpetua ancora questa abitudine con grande seguito anche tra i più giovani.
Le ricette legate alla notte di San Giovanni
Il Nocino di San Giovanni
Un’altra usanza che ricorre in questa data è la preparazione del nocino, un liquore che richiede l’impiego di noci ancora morbide e verdi come solo possono esserlo nella notte del 23 giugno, quando vengono raccolte in numero sempre dispari. I contadini pensano che il noce sia un albero velenoso che non ama stare insieme alle altre piante ed è per questo che viene piantato sempre ai margini dei campi così come ai margini della società vivevano le streghe che del noce avrebbero fatto il loro albero preferito usandone i rami per volare. La rugiada della nostra notte magica rende il mallo tenero e ricco di profumati olii essenziali.
Prepararlo in casa non è affatto difficile: si tagliano le noci in quattro e si mettono in un barattolo di vetro contenente alcol e aromi: cannella, chiodi di garofano e scorze di limone anche se naturalmente esistono tante inevitabili varianti; dopo pochi giorni il liquido, da trasparente si sarà mutato in un inquietante color nero profondo; si lasciano macerare ancora 40 giorni e si filtra aggiungendo uno sciroppo a base di acqua e zucchero dopodiché si travasa dentro bottiglie chiuse. Anche se sarebbe già pronto è consigliato iniziare a consumarlo per Natale (guarda caso all’arrivo del Solstizio d’Inverno!). Si dice che più invecchia e più e buono..!
I Tortelli con erbe di campo
Le tradizioni di san Giovanni non possono stare fuori dalla cucina ed ecco che, così come si raccolgono i profumi e le essenze dei fiori, così anche le semplici e sacre erbe di campo vengono impiegate in ricette interessanti come in questo ripieno dei tortelli. La preparazione per quattro persone prevede 4 uova e 400 gr di farina.
Si prepara una sfoglia di pasta all’uovo e si lascia riposare. Nel frattempo cuocere le erbe di campo spontanee (bietole, cicoria, borragine, ortica, tarassaco, crescione ecc..); si tritano finemente e si condiscono con sale, pepe, un uovo, formaggio grattugiato, noce moscata e ricotta. Si stende la pasta e si mette questa farcia a mucchietti su metà sfoglia richiudendola con l’altra metà. Sagomare i tortelli ritagliandoli con una rotella e cuocerli velocemente in acqua bollente condendoli con burro fuso e spolverata di parmigiano.
Le Lumache al sugo, una ricetta della Valle del Metauro
“Per ogni corna di lumaca mangiata la notte di san Giovanni, una sventura era scongiurata”. E allora, ecco a voi le lumache al sugo!
Siamo in piena estate e la saggezza contadina sa che gli apporti calorici derivanti dalle proteine devono necessariamente essere differenti da quelli invernali. Le lumache in questo caso, offrono la possibilità di nutrirsi di un tipo di “carne” diversa, più magra, ma ugualmente nutriente e facilmente reperibile. Qualche antropologo ha azzardato l’ipotesi che quelle raccolte per san Giovanni siano le migliori per via dei cornetti che richiamano il demonio scacciato, vinto dalla Luce e dalle forze del bene.
La ricetta è un po’ lunga ed elaborata e occorre prepararle per tempo dato che devono spurgare almeno 48 ore tutte le impurità e le tossine amare che contengono; dopodiché si mettono a cuocere a lungo ripassandole in un sugo saporito a base di pomodoro, cipolla e tante erbe aromatiche.
Nella nostra regione, oltre a quelle raccolte spontaneamente in questi ultimi anni c’è stato un incremento di attività legate all’allevamento di lumache, detto elicicoltura, e alla preparazione di piatti pronti nonché di “salumi”, se così possiamo definirli. Una carne definita dai nutrizionisti buona, sana e leggera.
E allora, Buon Solstizio!
Sono molto affascinata dalla tradizione tramandata dagli anziani.