Lo Stoccafisso all’Anconitana è certamente uno dei piatti tipici e caratteristici delle Marche e della città di Ancona in particolare, è un piatto della tradizione marittima, è economico ma soprattutto… è buonissimo!
Lo Stoccafisso non è altro che Merluzzo essiccato all’aria, messo in ammollo per giorni e cucinato in pentola – a fuoco lento – con olio, patate, pomodori, vino e aromi. Il risultato? Un piatto completo, dal sapore deciso, ideale sia con il vino bianco che con quello rosso. Una specialità da leccarsi i baffi, che porta con sè una storia che viene da lontano. Ma andiamo per ordine.
Da dove deriva il nome
Il nome significa pesce secco o pesce bastone e deriva dal termine Stockfish, che era il nome con cui gli anglo-tedeschi chiamavano il Torrfisk, letteralmente il pesce essiccato dei norvegesi. Già nei primi del ‘300 se ne trova traccia nei documenti della sede papale di Avigone, dove il nome vichingo venne tradotto in latino con pisces sicci, pesci secchi.
Anche a Venezia, nei primissimi anni del ‘400, si utilizzava il termine bacaladi per identificare le mensole a forma di baccalà sui cui si appoggiano i remi per la voga. I veneti, infatti, tutt’ora chiamano lo Stoccafisso con il parola Baccalà, proprio perché il significato, in origine, è identico. Dal latino bacula, che significa bastone, esattamente come il termine stock. Da qui il pesce bastone. Il processo di essiccazione di questo pesce, che è uno dei più economici in commercio, garantiva una lunga conservazione, cosa questa molto apprezzata nei tempi antichi, quando non esistevano firgoriferi o congelatori.
La vera storia dello Stoccafisso
“Si narra che, nelle fredde e lontane terre norvegesi, corrente l’anno 1455, Sua Maestà IL MERLUZZO, del nobile casato Gadus Morhua, dovendo maritare il suo figliolo prediletto STOCCAFISSO, lo inviò in terre lontane alla ricerca di Principessa di ugual naturale lignaggio.
Giunto nella marca d’Ancona, il reale giovane rampollo presentò le credenziali al consiglio dei Saggi all’uopo riunito.
Unanime fu la decisione: degna sposa non poteva che essere “colei che non vuole per crescere che aria, che sole, che tempo”, Sua Altezza l’Oliva, che al cospetto del Principe si commosse a tal punto da sciogliersi in olio.
A testimoni: Madama Patata e Messia Pomodoro.”
Questo il racconto “ufficiale” riportato sul suto dell’Accademia dello Stoccafisso all’Anconitana, mentre la storia narra di un commerciante veneziano che, nel 1431, di ritorno dalle Fiandre dove era stato per scaricare del vino, a causa di una burrasca si arenò sulle isole Lofoten, al largo delle coste norvegesi. Vi rimase fino all’arrivo della primavera e, insieme ad alcuni commercianti che erano con lui, ebbe il tempo di scoprire lo Stoccafisso, i suoi metodi di essiccazione e quelli di cottura usati in quei luoghi. In poco tempo lo Stoccafisso conquistò le cambuse delle navi e diventò il cibo apprezzato nelle tante osterie delle coste del Mediterraneo, del quale il mar Adriatico è parte, proprio come ad Ancona. Oggi l’Arcipelago norvegese è il più importante produttore di Stoccafisso nel mondo e l’Italia il più grande importatore (circa il 90% dell’intera produzione).
Una “bandiera” per la città di Ancona
Lo Stoccafisso all’Anconitana è il più rinomato tra i piatti tipici della città e l’unico, nelle Marche, che, fin dal titolo, identifica la storicità di una pietanza che ben si sposa all’indole e ai comportamenti della gente. Da secoli, forse da mille anni. Da quando le vele di Ancona si spingevano con altre città marinare, da Trieste a Messina, c’è il ruolo di primo porto dello Stato pontificio nel quale, dopo il Concilio di Trento, lo stoccafisso era il cibo ideale per rispettare la consegna di mangiar di magro in vigilie e quaresime.
Tutt’oggi gli anconetani mettono passione, orgoglio e vocazione nel realizzarlo, oltre a nutrire un radicato rispetto per un piatto, allora povero, oggi ricco di significato. E’ considerato il piatto principe della propria tavola, occasione di convivialità e amicizia, una vera e propria bandiera della città.
Poeti del passato e del presente hanno dedicato e dedicano splendidi versi a questo squisito piatto della tradizione.
E’ vero Stoccafisso solo se fatto con “disciplinare”
Il successo dello Stoccafisso riguarda sia la costa che la campagna, per i medesimi motivi: costa poco e si mantiene per lunghissimo tempo, è un ottimo nutrimento e serve per combattere la fame.
Non esiste una vera e propria ricetta per lo Stoccafisso all’Anconitana, perché è un prodotto che va battuto e poi ammollato e quindi abbinato ai prodotti che offre l’orto di casa, diversi da zona a zona, da periodo a periodo.
L’Accademia, però, ha istituito un disciplinare che garantisce alcuni “requisiti comuni”. Tra questi: un determinato tipo di pesce rigorosamente essiccato e reidratato secondo regole precise, l’olio extravergine (meglio se delle olive Marche IGP) e la patata a pasta gialla.
Alcune curiosità
Che differenza c’è tra Stoccafisso, Merluzzo e Baccalà?
Lo Stoccafisso è Merluzzo, Merluzzo essiccato all’aria che viene venduto in “bastoni” e, più frequentemente, già tenuto in ammollo. Altra cosa è il Baccalà, che è sempre Merluzzo ma viene conservato in barili e sotto sale, come per le sardine. La differenza, quindi, è solo nel processo di essiccazione e salatura.
Perché essiccarlo?
L’esposizione all’aria e al vento, in un ambiente secco ed ecologicamente molto pulito, rimuove quasi del tutto la percentuale di acqua del Merluzzo, facendola passare dal 70 al 13%: questo blocca la proliferazione batterica che ne causa il degrado delle proteine.
Come renderlo più saporito?
Oggi lo Stoccafisso viene venduto sia essiccato che già reidratato. Mentre nel secondo caso risulta equiparato al pesce fresco, nel caso si acquisti il “bastone” di Stoccafisso è necessario tenerlo in ammollo, cambiando l’acqua due volte al giorno, conservandolo in frigo per tutto il tempo. Questa fase può durare anche due giorni, il tempo necessario per farlo raddoppiare di peso: se ad esempio si acquista 1 kg di Stoccafisso, tenendolo in ammollo bisogna farlo arrivare a 2,5-3 kg circa di peso, così da ridargli la giusta consistenza e sapore.
Per renderlo più saporito, alcuni anconetani consigliano, per le ultime ore di ammollo, di marinarlo con una salsa a base di olio e odori preferiti, prima di procedere alla cottura, che può essere fatta in forno ma più preferibilmente a fuoco lento, in pentola, per circa 3 ore. Gli aromi classici sono: aglio, carota, cipolla, maggiorana, origano, pepe bianco o nero, pomodoro, prezzemolo, rosmarino, sale marino, sedano e timo, ma alcuni vi aggiungono anche alcuni ingredienti speciali, tra cui latte, olive, acciughe, capperi o alloro.
Un altro segreto
Un accorgimento che può rendere il piatto molto interessante consiste nell’utilizzare il pesce che rimane attaccato sul fondo della pentola, emulsionandolo con una frusta insieme all’olio extravergine che emergerà dalla cottura. Un olio buono, non fritto, con cui creare una splendida e densa cremina da cospargere sullo stoccafisso e, soprattutto, sulle patate.
Quali sono i migliori vini da abbinarci?
Contrariamente a quanto si può pensare, lo Stoccafisso all’Anconitana si sposa bene sia con i bianchi che con i rossi. L’Accademia dello Stoccafisso consiglia Verdicchio Classico de Castelli di Jesi o di Matelica, Rosso Conero, Lacrima di Morro d’Alba, Rosso Piceno e Rosati del Conero.
per evitare che il primo strato di stoccafisso si attacchi al fondo della pentola, vengono comunemente usate delle canne appositamente tagliate su sura e recuperate a cottura finita per ulteriori usi