Lo sapete che il Maestro Gioacchino Rossini si definiva “un pianista di terza categoria e primo gastronomo dell’universo”? Nato nel 1792 a Pesaro, il padre è un pubblico trombetta cioè un banditore (un incarico ufficiale con il quale aveva il compito di richiamare la popolazione in piazza a suon di tromba per comunicare notizie che si riteneva opportuno i pesaresi sapessero).
La madre, figura dolce e amorevole, è soprano ma inizia a cantare solo dopo il 1797, cioè dopo il passaggio di Napoleone in Italia, in quanto prima alle donne non era permesso esibirsi in teatro. A soli 5 anni Gioacchino inizia ad accompagnare la mamma e nel contempo, la sua naturale propensione per la musica viene nutrita sempre di più.
Enfant prodige, travolto dal successo (diventerà ricchissimo) ad un certo punto si stanca di una vita fatta di lustrini, la vuole più semplice, che risponda ai “quattro atti di cui vale la pena godere nel corso di questa opera buffa chiamata vita” e cioè amare, mangiare, cantare e digerire. A 37 anni smette di scrivere per il teatro, continuerà a farlo solo per diletto e per gli amici e molte dei suoi canti scritti e raccolti nei Péchés de vieillesse (Peccati di vecchiaia) saranno legati al cibo.
La passione per la buona tavola sarà totale e lo farà diventare un grande esperto in materia, fino all’elaborazione di ricette squisite raccolte in dei libri. Come questa dei maccheroni alla Rossini che fu la causa di una vera e propria guerra, la cosiddetta “Guerra dei maccheroni”.
La guerra dei maccheroni
Il fatto andò che Dumas (che oltre ad essere romanziere era anche gastronomo) si vide recapitare la domanda di un amico in cui gli chiedeva la ricetta dei veri maccheroni alla napoletana. Non conoscendola decise di chiedere al suo amico Gioacchino Rossini che rispose invitando Dumas a cena per fargli assaggiare i suoi leggendari maccheroni alla Rossini, cioè al tartufo appunto. Dumas andò ma quando li vide non volle saperne di mangiarne e mai per Rossini affronto fu più grave.
La rottura fu insanabile per sempre, Rossini morì nel 1868 e Dumas l’anno successivo pubblicò un dettaglio non felice di quella cena rossiniana, una vigliaccata francese alla quale Rossini, per evidenti motivi, non poté rispondere! Adesso, con tutto il bene che possiamo volere ai Tre Moschettieri, possiamo dire che Alexandre in cucina… qualche buona occasione se l’è fatta scappare.
La ricetta dei maccheroni alla Rossini
Questi maccheroni sono speciali, delicati, ricchi di sapore, eleganti, raffinati, da veri intendori e la loro realizzazione lascia poco spazio all’inventiva perché il Maestro Rossini stesso, di suo pugno, addì 26 dicembre 1866 scrisse che vanno preparati nel seguente modo:
Per essere sicuri di poter fare dei buoni maccheroni, occorre innanzi tutto avere dei tegami adeguati. I piatti di cui io mi servo vengono da Napoli e si vendono sotto il nome di terre del Vesuvio. La preparazione dei maccheroni si divide in quattro parti.
1. La cottura della pasta
La cottura è una delle operazioni più importanti e occorre riservarle la più grande cura. Si comincia col versare la pasta in un brodo in piena ebollizione precedentemente preparato; il brodo deve essere stato passato a filtrato; si fa allora cuocere la pasta su un fuoco basso dopo avervi aggiunto alcuni centilitri di panna e un pizzico di arancia amara.
Quando i maccheroni hanno preso un colore trasparente per il grado di cottura, vengono tolti immediatamente dal fuoco e scolati sino a quando non contengano più acqua; li si tiene da parte prima di essere sistemati a strati.
2. La preparazione della salsa
Sempre in un tegame di terracotta, ecco come va eseguita. Per 200 g di maccheroni si metteranno:
- 50 g di burro;
- 50 g di parmigiano grattugiato;
- 5 dl di brodo;
- 10 g di funghi secchi;
- 2 tartufi tritati;
- 100 g di prosciutto magro tritato;
- 1 pizzico di quattro spezie;
- 1 mazzetto di odori;
- 1 pomodoro;
- 1dl di panna;
- 2 bicchieri di champagne.
Lasciar cuocere a fuoco basso per un’ora circa; passare al colino cinese e serbare a bagnomaria.
3. La preparazione a strati
È a questo punto che si rende necessario il tegame in terra del Vesuvio. Dopo aver leggermente ingrassato con burro chiarificato e raffreddato il tegame, vi si versa uno strato di salsa, poi uno di maccheroni, che va ricoperto da uno strato di parmigiano e di gruviera grattugiati e di burro; poi un altro strato di maccheroni che si ricopre nello stesso modo; il tutto bagnato dalla salsa; poi all’ultimo strato si aggiunge un po’ di pangrattato e di burro e si mette il tegame da parte per la gratinatura.
4. La gratinatura
Il difficile è far dorare il piatto per il momento in cui dovrà essere mangiato»