Padre Matteo Ricci, Li Madou, il “Maestro del Grande Occidente”, sono tanti i nomi con i quali è conosciuto nel mondo uno fra i più illustri marchigiani di tutti i tempi, eppure, non tutti sanno che la sua storia ha origine in una piccola città delle Marche, Macerata, quasi cinquecento anni fa…
«Non sono nato a Roma, ma in questa terra di mezzo sul mare Adriatico. Si chiama Marche ed è abitata da uomini sobri e prudenti, più amanti del silenzio che delle parole, molto versati nel lavoro. Nel centro c’è una città che si chiama Macerata, distesa dentro mura di mattone chiaro e rosa, sopra un colle che guarda il mare verso Oriente. Qui sono nato, qui vivono mio padre, mia madre e i miei fratelli». Così rispose Matteo Ricci a proposito della sua terra al governatore Wang Pan che gli chiedeva da dove provenisse. (Filippo Mignini, “Le Marche di Matteo Ricci”)
L’Oriente verso cui guarda la sua terra sarà la meta fondamentale del viaggio della sua vita, iniziata nel 1552 in una famiglia agiata di Macerata. Il padre di Matteo Ricci, che già da giovane era dotato di un’intelligenza e di una memoria incredibile, aveva tracciato per lui la strada da seguire: lo aveva infatti inviato a Roma per studiare Diritto, ma il ragazzo, che si era formato dai Gesuiti a Macerata, decise, in contrasto con il padre, di interrompere gli studi e di entrare in noviziato nella Compagnia di Gesù.
Si racconta che il padre di Matteo Ricci, adirato dalla decisione del figlio, partì con il calesse da Macerata alla volta di Roma per impedirgli di prendere i voti ma, poco dopo la partenza, durante il cammino, fu colto da una febbre improvvisa che, da devoto cattolico qual era, interpretò come un segno divino a lasciar intraprendere al figlio il suo percorso spirituale e così decise di ritornare a Macerata e di non interferire con le sue scelte.
«Macerata, Macerata», rispose Wang Pan. «Deve essere una città nobile e fortunata, se può educare figli come voi, Li Madou». E poi aggiunse: «Non capisco come vostro padre abbia potuto lasciarvi partire per questo lungo viaggio senza ritorno». Wang Pan forse ricordava quel precetto di Confucio nel secondo libro dei Dialoghi: «Finché il padre e la madre sono in vita non viaggiate in luoghi lontani». Matteo si sentì toccare nell’anima. Esitò un istante e rispose: «Mio padre ha sofferto molto per la mia partenza; ma ha approvato il viaggio dei diecimila li, convinto che fosse necessario perché uomini che abitano terre tanto lontane, respirando sotto la cappa dello stesso cielo, possano conoscersi e vivere in pace. Desidero visitare la Cina e descriverla agli uomini dell’Occidente, anche per non rendere vano il suo sacrificio». (Filippo Mignini, “Le Marche di Matteo Ricci”)
Padre Matteo Ricci non rivide mai più Macerata e le Marche ma vi rimase molto legato, mantenendo alcuni aspetti caratteriali connessi alla propria terra d’origine: riservato, operoso e con una grande resistenza fisica e mentale ma dotato anche di una buona dose di ironia. Inoltre, quando redasse la carta geografica del mondo, non mancò di inserire il nome delle Marche nella costa Adriatica, unica annotazione di tutto il litorale. In aggiunta a ciò, come spesso accade a chi lascia da tanto tempo la sua terra, il legame con le proprie radici riemerse negli ultimi anni della sua vita attraverso alcune espressioni dialettali tipiche del maceratese, che andavano a sostituire le corrispettive italiane che, diceva Padre Matteo Ricci, stava via via dimenticando a causa del prolungato mancato uso della lingua.
Il viaggio a Oriente
Dopo aver passato qualche anno nei Collegi dei Gesuiti in Italia dove si forma come umanista e scienziato, viene inviato a Lisbona e qui, a soli 26 anni, parte per l’India. A Goa verrà ordinato sacerdote e si formerà anche come teologo, prima della missione più importante della sua vita: l’ingresso nel “Paese del Drago”, la Cina.
Gli anni cinesi, dal 1583 fino alla sua morte, avvenuta nel 1610, sono così densi di avvenimenti, aneddoti, viaggi e trasformazioni da far invidia a un romanzo d’avventura e da competere con l’altro grande viaggiatore italiano che, due secoli prima, aveva incuriosito l’Europa con i racconti del Celeste Impero: Marco Polo.
A differenza del protagonista de “Il Milione” però, Padre Matteo Ricci era un osservatore più acuto della vita e della società cinese e si accorse che questo grande paese, che chiamava se stesso “Regno di Mezzo” (Zhongguo 中国) con la convinzione di essere al centro del mondo conosciuto e di non avere eguali in termini di cultura, raffinatezza, organizzazione dello Stato e costumi, non accettava i metodi classici di evangelizzazione. Li Madou, capì così bene il suo paese ospite tanto da essere nominato mandarino, indossare la seta dei letterati, vivere a corte dell’Imperatore (che però non incontrò mai) e avere il privilegio di essere sepolto a Pechino.
Jiaoyou lun o “Saggio sull’amicizia”
La grande differenza di Padre Matteo Ricci con tutti gli altri occidentali confrontatisi con la cultura cinese fino a quel momento sta nell’umiltà con la quale il sacerdote si avvicinò a essa, riconoscendone la grandezza e, grazie alla sua formidabile memoria, studiandone alla perfezione i classici della letteratura per comprendere in profondità la sua essenza. Il metodo dell’”inculturazione” gli permise di assimilare la cultura del Paese, a partire proprio dall’acquisizione perfetta della lingua.
È così che nacque la grande intuizione di iniziare a dialogare con gli intellettuali cinesi attraverso una prima opera letteraria (ne verranno poi tante altre) non religiosa capace di unire i due mondi attraverso parole e concetti cari e vicini a entrambe le loro realtà. “Dell’Amicizia” è un trattato che Padre Matteo Ricci scrive interamente in mandarino riportando 100 fra le massime sull’amicizia più importanti della cultura greca e latina. Platone, Plutarco, Cicerone, Seneca diventano gli ambasciatori capaci di avvicinare due mondi così distanti, mostrando alla Cina (ma anche a noi occidentali) quanto, al contrario, essi potessero avere in comune. La “benevolenza” (ren, 仁), intesa come “umanità che l’uomo deve mostrare ai propri simili”, una delle virtù fondamentali per l’uomo secondo il confucianesimo, diventa la base sulla quale condividere massime, aforismi e pensieri sulle relazioni umane di amicizia, che fanno di questo formidabile testo l’esempio pratico di come Occidente e Oriente possano accordarsi su temi cruciali.
Itinerario ricciano e Specola dei mondi d’Oriente a Macerata
Ci sarebbe ancora tanto da dire sulla vita e sull’opera di Padre Matteo Ricci ma, per iniziare a conoscere quest’uomo che i cinesi definirono ”straordinario”, bisogna partire dalle sue radici. Pochi mesi fa è stato inaugurato un percorso nella sua città d’origine che, in un itinerario di 26 tappe, ricorda la presenza del giovane Matteo Ricci a Macerata e che ha come centro ideale la sua Casa Natale in vicolo Ferrari.
Partendo da Piazza della Libertà, si snoda nel centro storico della città un prezioso viaggio nel tempo che tocca i più importanti centri religiosi, economico-amministrativi e politici della Macerata di allora, con pannelli descrittivi e un’audioguida scaricabile sul proprio dispositivo mobile, per accompagnare passo dopo passo la vita del religioso.
L’itinerario ricciano termina nella Specola della Biblioteca Mozzi Borgetti, luogo originariamente utilizzato come chiostro al chiuso dai Gesuiti dove ora si trova uno spazio dedicato a Li Madou e agli altri orientalisti marchigiani. Dopo essere passati attraverso la suggestiva antica biblioteca, si giunge alla Specola ora intitolata ai Mondi d’Oriente dove ripercorrere i singolari rapporti che hanno legato Macerata e le Marche all’Oriente.
Per saperne di più:
- Leggi di più su Padre Matteo Ricci
- Scopri Macerata sul sito del turismo della Regione Marche
- Esplora la provincia di Macerata sul sito ufficiale
Foto di copertina di Giacomo Mira da Facebook – #macerataphotowalk
Meraviglia delle meraviglie la vita ascetica e sapiente di P. Matteo Ricci, i suoi viaggi, l’osservazione et interpretazione di un mondo cinese quai alieno per noi. La sua sapienza e umiltà lo hanno reso immortale.